IL PROCESSO DI VERONA
IL DUCE VUOLE CINQUE FUCILATI

contro Galeazzo Ciano e gli altri gerarchi rei di avere votato contro Mussolini al Gran Consiglio, il 25 luglio

Uno dei primi atti ufficiali della neonata Repubblica sociale fu il processo di Verona, anche questo comunque ampiamente caldeggiato dai tedeschi. Il processo interessò i cosiddetti "traditori venticinqueluglisti", come i fascisti chiamavano i membri del Gran Consiglio che avevano destituito Mussolini nel luglio 1943. Le udienze, iniziate l'8 gennaio 1944, durarono appena tre giorni e il collegio giudicante era composto da uomini di provata fede fascista.
Imputato principale Galeazzo Ciano, genero del duce e considerato dagli uomini di Salò il più infame del gruppo.
Ciano, convinto che la parentela con il capo del fascismo lo avrebbe in ogni caso salvato, aveva perfino aderito alla Rsi, chiedendo di potervi militare in qualità di pilota.
Il dibattimento si svolse in un clima teso e spesso interrotto dalle grida di vendetta di un pubblico già convinto della sentenza e in una lugubre sala addobbata con panni neri. Scontata la richiesta finale di pena di morte per tutti gli imputati e le frettolose e intimidite arringhe dei difensori. Le pene capitali furono comminate a cinque imputati (Ciano, De Bono, Marinelli, Gottardi e Pareschi), e l'esecuzione ebbe luogo la mattina dell'11 gennaio nel poligono di Forte San Procolo, a Verona, con un plotone di esecuzione formato da trenta militi fascisti.
Tre ore dopo Mussolini aprirà il consiglio dei ministri a Gargnano pronunciando la frase "Giustizia è fatta".